La favola mia

Era una notte buia e tempestosa quella del 4 gennaio 1967, quando all’improvviso uno squarcio di sereno si aprì nel cielo di Genova, la luna fece capolino e posò un suo pallido raggio sulla finestra di una casa dove vivevano due genitori in attesa della loro prima creatura. Quello era il segnale tanto atteso: i due giovani emozionati e, a dire il vero, un po’ spaventati da quello che li aspettava, salirono in macchina e si diressero verso il posto dove i bambini vengono alla luce. Da lì a poche ore la loro vita sarebbe completamente cambiata.

Ed eccola lì, la frugoletta tanto immaginata ora poteva essere vista in tutto il suo splendore: un batuffolino di tre chili e ottocento grammi dalla pelle chiara ed i capelli rosso tiziano…era meglio di quanto si aspettassero 😀

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Ma gli ignari genitori non sapevano che per l´intero anno seguente quell’angioletto non li avrebbe fatti dormire per più di due ore consecutive a notte (iiih iiih iiih 😯 ), e che ben presto avrebbe preso il sopravvento sconvolgendo per sempre quella che era stata fino a quel momento un’esistenza tranquilla di due persone tranquille.Il caratterino vivace e l’indole curiosa fece scoprire tante belle cose alla bambina (che per convenzione chiameremo Stefania), soprattutto come ottenere sempre (o quasi) quello che desiderava, con le buone o con le cattive, anche se a dire la verità  le bastava uno sguardo da cerbiatta per far sciogliere il malcapitato di turno e fare di lui tutto ciò che voleva.

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Intanto gli anni passarono e Stefania crescendo affinava sempre più le sue doti di ammaliatrice, fu così che riuscì ad ottenere le sue prime Barbie, i vestiti che le piacevano e l´iscrizione ad un corso di ginnastica artistica, anche se i suoi genitori nel frattempo si separarono, e la mamma fece non pochi sacrifici per riuscirla ad accontentare, senza tenere conto che qualche anno prima era arrivato anche un fratellino.
Però Stefania ripagò la mamma dei sacrifici e riuscì a diventare campionessa regionale nel 1977 (che brava!).

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Dopo qualche peripezia riuscì ad ottenere il diploma di ragioniera, ma non era il lavoro che voleva fare nella vita: a lei piaceva aiutare gli altri, allora decise di diventare infermiera professionale, e ci riuscì nel 1994 (dopo aver fatto una serie di lavori differenti, anche per aiutare la mamma, che economicamente non se la passava tanto bene).

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Nel 1997 conobbe un certo Luca, non fu un colpo di fulmine, ma quel ragazzo sapeva ascoltarla, cosa che non avevano fatto in molti, in genere era Stefania quella che ascoltava, consigliava, consolava gli altri…quest’aspetto, insieme ad altri che, per ragioni di spazio non sto ad elencare, nel giro di qualche mese convinse la giovane donna che quello era davvero l’uomo adatto a lei.Nel 1998 Luca e Stefania si sposarono e dopo tre anni nacque il loro bimbo: Alessio.

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E siamo arrivati ai giorni nostri: Stefania circa due anni fà  ha lasciato il suo lavoro e si dedica completamente alla sua famiglia, anche se pensa di tornare a lavorare quando Alessio sarà  un po´ più grande, le piace molto leggere, ascoltare la musica e giocare con il suo bimbo, negli ultimi mesi si è dedicata molto a lasciare un segno di sè nella “grande rete”, ed è giunta fino a qui a scrivere qualcosa di quello che pensa, di quello che sogna, e di quello che ama.

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13 risposte a “La favola mia”

  1. eehhhhhhhhhhhh [sospiro] che storia romantica 😛

  2. Ehi, qui mi fa commentare!!!!!!!!! 😀

  3. Beh, tu conosci già  il mio identikit… 😉

    Nel prossimo post (mi sa che dovrò dividerlo, è lunghetto) ti lascio invece un mio articolo su R., che avevo scritto alla fine del 2005 ma che ho poi rimaneggiato. Forse non lo condividerai del tutto ma l’importante è il confronto. Ciaoooooo

  4. RENATO ZERO, L’ALCHIMISTA DELL’AMORE

    Renato Zero, nel bene e nel male ancora presente, vicino e lontano, artista vero e grande incantatore. Su di lui è stato scritto molto, talora con competenza, più spesso a sproposito o in modo pretestuoso (si pensi al falso scoop sollevato da alcuni militanti gay intorno a sue inesistenti dichiarazioni, e il cui obiettivo finale è sembrato più che altro il tentativo di estorcere da lui una confessione… sulle sue abitudini personali); sempre poco, troppo poco, ci si è comunque soffermati sul musicista, così che ne è rimasto sminuito sia quest´aspetto, sia, in certo senso, la stessa dimensione umana. Eppure non si può spiegare soltanto con la cieca adorazione il fluido affettivo che circonda il cantante romano da così tanto tempo.

    Non tutta la sua produzione, in particolare la più attuale, è ovviamente sullo stesso livello; ma quella sensazione di nettezza, autenticità  e purezza sembra essere stata, finora, una costante nell´artista. Anche negli errori.

    Di recente ci è capitato di leggere che il Nostro è un ribelle pentito. Uno che partito dal travestimento più camp, prefiggendosi di superare le barriere del conformismo e dell´eteronormatività , è poi approdato ai tranquilli lidi della luce divina. Ma com´è andata, in verità ?

    Il Renato irriverente e variopinto degli anni ´70 protestava col corpo. Era il risultato visivo dell´irrompere del mondo degli emarginati a fronte della grigia normalità  di un altro corpo, quello rigido e contratto dell´uomo incravattato. Anche quest´ultimo, non meno di Renato, portava una maschera, che lo caratterizzava come capofamiglia, tutore dell´ordine e della morale. L´uomo con la cravatta e i capelli corti non piangeva perché aborriva la debolezza, femminile e impudica. Quell´uomo accettava (e faceva) la guerra, la discriminazione sessuale, razziale e ideologica; ed era, soprattutto, un uomo incapace di sognare, perché il mondo circostante lo soddisfaceva e lo appagava.

    Fuori del suo recinto si stendeva una terra incognita, inesplorata e inesplorabile. Ma Renato, un po´ Frank´n´Further un po´ Mago di Oz, con la sua irruenza giocosa, ingenua, sguaiata, ci ha presi per mano " o, forse, strattonati " e ci ha fatto varcare la soglia dell´â€altra sponda”. Fasciato nelle sue lucide tutine a pelle, Renato era nudo, e la sua stessa fisicità  costituiva una protesta. La sua maschera colorata, a differenza di quella plumbea dell´uomo incravattato, non serviva a nascondere e occultare, ma appunto a svelare le autentiche ipocrisie della società  perbene; in questo senso, il suo universo è stato solo in apparenza favolistico. In realtà  era onirico, denso di valenze simboliche e, pertanto, tangibile e profondamente umano.

    Ed è stato un viaggio entusiasmante, tra colori squillanti, ballerine, coatti, prostitute, checche, guitti, gente senza nome e senza storia. L´unica voce di questi senza voce era il corpo e il sesso. Per loro Renato Zero, l´alchimista dell´amore, inventò un linguaggio nuovo, nobilitandone e “spiritualizzandone” la disprezzata umanità , l´inesausta capacità  di affetto, sentimento, tenerezza, tanto più primigenia quanto più insospettata, pura e infantile. Nella sua vocazione universalistica Renato parlava di ogni amore semplicemente mostrandone l´esistenza e, quindi, la naturalità .
    Facendosi amico, fratello, amante ma anche padre e madre di queste anime orfane, Renato offriva loro il porto sicuro di una famiglia restituita al suo valore originario di servizio e oblatività . La simbologia di quest´ultima non era perciò negata ma piuttosto confortata, perché scevra di qualsiasi retorica; diventava una democrazia affettiva dove si aveva diritto di cittadinanza non in virtù di un privilegio sociale o di un ruolo riconosciuto, ma in base alla capacità  di amare. Si trattava, già  allora, di un approccio profondamente cristiano.

    Ciò comportava, di conseguenza, anche un cammino “a ritroso” alla ricerca delle fonti più vere del Sé. “Dietro questa maschera c´è un uomo e tu lo sai”, cantava Renato in quegli anni: impossibile dargli torto.

    Solitudini

    Non solo logica, ma inevitabile, è stata la svolta introspettiva degli anni ´80.

    Nel decennio che celebrava l´edonismo e l´auto-sufficienza, che dissacrava l´autentica trasgressione con la moda, l´arroganza e il cinismo non era infatti più tempo di travestimenti. L´uomo incravattato, avversario visibile e concreto, aveva lasciato il posto a una forma diafana, indecifrabile, vacua; un´ennesima maschera certamente, dietro la quale però non si trovava più alcuna umanità , per quanto ferita o derelitta potesse essere. Un mondo sazio di sé, che celebrava il proprio apparente benessere materiale malcelando le sue frustrazioni, odii, razzismi. Un mondo di “voyeur”.

    I variopinti clown dagli occhi dolci (la definizione è dello stesso Renato) vivevano il periodo più triste e angoscioso della loro storia. Avvertivano bisogno di fermarsi e riflettere. Ne scaturì un elogio della lentezza, vero balsamo nel turbinio degli istinti e delle voracità  rapaci. Era una semina che, se già  cominciava a mostrare fiori delicati e perfetti nella loro primizia, avrebbe condotto alla straordinaria fecondità  dei ´90.

    Epifanie

    Le facili e ingannevoli promesse degli “anni affollati”, svaporando, si lasciavano dietro una scia di sofferenze, a volte persino di sangue, che ne smascherava la sostanziale, belluina ferocia. Renato Zero, uscito indenne da quella lotta grazie alla sua incrollabile fede, aveva imparato sulla sua pelle che quest´ultima non preservava dal dolore, ma permetteva di superarlo con l´umiltà  e il perdono. All´impulso generoso ma velleitario di Prometeo si sostituì allora una resurrezione certo luminosa, ma non abbacinante. “Un´emozione in più/ è terra conquistata,/non possiamo chiedere/ certezze a questa vita”, cantava infatti il Nostro nell´emozionante “L´eterna sfida”.

    Di qui il ritrovar-si, ogni volta un po´ più vicini alla verità , ogni volta “diversi” eppure riconoscibilissimi.
    E se il contrassegno dell´epoca attuale sembra esser diventato l´individualismo sfrenato, geloso e sospettoso, Renato Zero ha deciso di sfidarlo mettendo in musica una materia “impoetica” per eccellenza: la felicità , o meglio la gioia, il sorriso del quotidiano.
    Una volta di più, una scelta controcorrente.

    Amore, amori

    Il Renato anni 2000 sta affrontando la più rischiosa delle imprese: riuscire a comunicare la gioia risultando credibile, sincero, commovente. Nella prima parte del decennio, la sfida sembrava vinta. Quella di Zero, come emergeva dall´album “Cattura”, era una gioia nata da molte lacrime, da strade tortuose, da anfratti oscuri della coscienza e della vita. Altri autori cantano la costruzione di un amore; per Renato pare che, oltre lotte, incomprensioni, fatiche, abbandoni e ritrovi, si debba elevare una pura e riconoscente gratitudine per la bellezza dell´amore, ovunque e in chiunque sia, in qualsiasi modo si manifesti e sempre degno di esser vissuto, anche al di fuori dei risultati personali. Un messaggio d´altruismo e di pace in un periodo in cui si chiudono le barriere delle menti, dei cuori (e degli Stati), e dove risorgono, cupi e minacciosi, i fantasmi dell´intolleranza e dell´odio per gli “irregolari”.

    Non è casuale che tale messaggio fosse contenuto nel più “privato” (e autobiografico) dei brani recenti dell´artista: “Figlio”, dedicato a Robertino, il giovane adottato dal Nostro dopo anni di convivenza, che l´ha reso nonno due volte.
    In esso non ci si limita a celebrare una paternità  fortemente desiderata, ma pure l´amicizia assoluta per l´umanità  dell´altro e, conseguentemente, di tutti i figli del mondo, specie se poveri, reietti, dimenticati. Ed ecco vivificato l´antico abbraccio ideale per gli sconfitti della vita. “I figli (non sono) scommesse, investimenti, polizze assicurative, alibi, riscatti”, ha denunciato il Nostro, “e a volte i figli adottivi sono più felici perché frutto di una scelta, non di una fuga di spermatozoi”.

    Parole “contro”, persino contronatura, se per “natura” s´intendono luoghi comuni, preconcetti, feticci, dentro cui ingabbiare emozioni e sentimenti. L´adozione, suggerisce Zero, è invece un surplus d´amore e non un ripiego, come ritiene il senso comune.

    Di più. Col suo gesto, Renato ha testimoniato, più di tanti discorsi incendiari, l´esistenza presso gli emarginati di una piena e “rispettabile” affettività : â€œàˆ ora che si sappia che l´emarginato non è solo quello che vive nei cartoni, abbrutito, picchiato. Può essere, anzi spesso è, un talentuoso, un uomo di potere, anche un genitore”. Solo accettandosi totalmente, insomma, si può giungere a “spossessarsi” di sé.

    E domani?…

    Le ultime prove, si diceva, non sono state all´altezza della situazione. Forse non gli hanno giovato la sovraesposizione, certe infelici scelte artistiche e un´acquiescenza ormai acritica da parte di una fetta di pubblico, che hanno condotto, fra l´altro, a dolorosi fraintendimenti, non sempre dissipati dall´artista stesso. Eppure le premesse per uscire vittoriosi da quest´ultima sfida ci sarebbero tutte. Il suo ultimo album in studio, “Il Dono”, è forse il più debole della sua produzione: registrato in fretta, poco curato anche nella veste grafica, ha tuttavia riscosso un notevole successo che, se ha appagato lo Zero-manager, non sappiamo quanto bene abbia arrecato allo Zero-artista. Ciò nondimeno quel disco ha un suo fascino segreto. A partire dal titolo stesso, simile al brano portante: “La Vita è un Dono”, francescano, gibraniano. Il termine affascina, così come i suoi derivati: per-dono, con-dono. Infondono un´idea di comunione, di cattolicità  (nel senso di universalità ). Alla fine, il pezzo risulta balsamico, rigenerante. E invero Renato è l´unico artista che possa ricorrere a un lessico cristiano, del tutto perduto nella società  secolarizzata, non perdendo in credibilità .
    Senza dubbio Renato ha puntato sulla professionalità  per far accettare pezzi altrimenti poco fruibili. Con tutto ciò, si può negare che “Dal mare” non sia dannatamente, potentemente sua? “Io non riesco a odiarti” è Renato, forse anche il miglior Renato. Non siamo certo al livello di “Mio fratello che guardi il mondo”; però è schietta, semplice, non superficiale.
    “Immi Ruah”? L´immagine dei sandali e il sottofondo “etnico” sono scontatissimi, eppure quel che dice è ciò che Renato pensa: si può negarlo?
    “D´aria e di musica”? Gran lavoro di limatura anche qui, però, che stoffa! Insomma, un altro “Dono” non sarebbe augurabile per nessuno; ma anche da questo lavoro si intuisce che Renato Zero non ha del tutto smarrito la sua vocazione di esploratore dell´io, l´esatto contrario dell´artista “arrivato”. A lui il definitivo ritrovamento di un´amicizia, un sorriso, una pazienza.

    Daniela Tuscano

  5. ullallà  un mezzo poemetto! 😯
    Ora ho poco tempo e voglio leggere bene, ti risponderò appena trovo un attimo di calma 😉
    Ciao Dani, a presto

  6. E’ lungo, sì: ma vale la pena leggerlo (non per vantarmi…) 😛

    Poi fammi sapere cosa ne pensi. Ciao! ^_^

  7. …l’analisi di una vita, mi verrebbe da dire 🙂

    Il cambiamento di Renato nel tempo, come giustamente dici tu, non è stato dettato solo da un’introspezione, da una maturazione naturale dettata dal passare degli anni e delle esperienze, ma anche in buona parte da ciò che è successo attorno a lui, dai cambiamenti della società , che pur in evoluzione, è sempre stata troppo impegnata a vedere solo il bello, il famoso, il ricco, il fortunato per accorgersi dei bisognosi, degli emarginati, dei diversi. Renato è stato un po’ la nostra coscienza, il nostro grillo parlante…ci ha riportati con i piedi per terra, ci ha ricordato che Dio si trova soprattutto dove c’è sofferenza, fame, miseria economica e povertà  di spirito, e lì dovremmo essere anche noi, a comprendere e ad aiutare i nostri fratelli diversi, ma in fondo così uguali a noi.
    Certo che se ciò che vuole comunicare adesso è la gioia dell’essere, dell’amare, del condividere, del donare…si è scelto un compito arduo per i tempi che corriamo…difficile essere gioiosi con tutto quello che continua ad accadere nel nostro mondo sgangherato ed impazzito, accecato dal potere e dall’odio…ma pensandoci bene, il Nostro, non ha mai praticato strade in discesa…speriamo che riesca anche questa volta nei suoi intenti…

    A presto e complimenti per l’ottimo lavoro 😉

  8. Sì, proprio l’analisi di una vita… :mrgreen:

    In realtà , io non valuto così positivamente le ultime performance zeriche, e l’ho scritto a chiare lettere. Può riuscire nei suoi intenti, a patto che si ricordi delle sue origini, e che non le rinneghi. Che accantoni l’imprenditore, e che riscopra l’artista. Io glielo (e me lo) auguro.

    A proposito… hai letto il box su “Rolling Stone”? Intervista breve ma interessante. Un abbraccio. ^_^

  9. Si, qualche scivolone c’è stato…come ad esempio l’incomprensione con l’arcigay…forse avrebbe dovuto sforzarsi un po’ di più per ricomporre il rapporto incrinato (o ancor meglio poteva evitare la battuta)…forse l’annullamento di qualche data dal tour per strutture poco capienti è stato un altro passo falso…forse è stato malconsigliato (voglio sperarlo), ma io ho fiducia e aspetto tempi migliori, tu no?
    L’intervista non l’ho letta è sulla rivista cartacea o online?

    Ciao “collega” 😉

  10. …Il discorso sarebbe molto lungo… Se Renato fosse sempre quello dell’intervista a “Rolling Stone” (ti avevo mandato una mail col link, comunque te lo riscrivo qui: http://danielatuscano.wordpress.com/2007/02/01/renato-zero-eravamo-diversi-per-sentirci-meno-soli/ ) non ci sarebbero problemi… ma purtroppo non è così. Personalmente mi sono molto arrabbiata con l’Arcigay per il falso scoop che, dietro ragioni pretestuose pur se all’apparenza con qualche fondamento, aveva il solo scopo di ottenere da lui una confessione definitiva su… quel che sappiamo. Miei scritti su questo tema sono apparsi su “Pride” e persino su “Tv Sorrisi e Canzoni”. In realtà , se quella di “Domenica In” era una scemenza, meno lo era il comportamento precedente del Nostro, l’infelicissima intervista sui gay-down, quell’insopportabile tono pretesco sui preservativi “maligni” e sui “sieropositivi che si ostinano a fare sesso”, vorrei sapere a chi voleva darla a bere, e del resto non accetto la minima lezione di moralità  dal sig. Renato Zero. Si guardi lui, magari partendo da chi ha in casa (scusa sai! Ma il ricordo mi fa ancora incavolare. 😡 )… E poi il concerto da Ratzinger, il più grande nemico dei gay che la storia ricordi! Insomma l’idea diffusa era che in qualche modo il Nostro volesse prendere le distanze da un mondo che, in ultima analisi, ha decretato il suo successo (ché se aspettava il Papa e le brave mamme sarebbe sul rogo da un sacco di tempo). In più i gay si sono incazzati perché da sette anni stanno cercando di ottenere da lui un’intervista, non per parlare dei fatti suoi ovviamente, ma di alcuni temi su cui il Nostro avrebbe qualcosina da dire, o sbaglio? E da sette anni Renatino si nega. E’ chiaro che ciò contribuisce a inasprire gli animi e a creare incomprensioni. A me queste cose fanno infuriare, anche perché trovo inaccettabile che Renato si faccia sbertucciare da un Cecchi Paone qualunque. E sinceramente, non credo sia mal consigliato per il semplice motivo che a parer mio è ancora lui che decide, non altri.

    E’ invece vero che ormai è praticamente impossibile avvicinarlo; le nebulosità  potevano esserci anche prima, ma prima esisteva la possibilità  di confrontarsi direttamente con lui, e di chiarirsi. Adesso no. E si crea un pernicioso effetto-domino, le cui conseguenze assumono dimensioni impensate. Purtroppo so come funzionano certi meccanismi perversi.

    Se invece ti riferisci alle sue reazioni a “Striscia”… cosa devo dirti, stavo in pena per lui. Era palesemente in difficoltà , e ciò era tanto più sorprendente se si pensa che a Renato in passato non è mai mancata una notevole prontezza di spirito e che Staffelli è un cretino al cubo; in altre parole se me lo ritrovassi davanti io, che non son nessuno, lo manderei all’ospedale senza pensarci due volte. Renato, invece, sembrava un pulcino nella stoppia.

    Tutto quanto avvalora ciò che mi frulla in mente da qualche tempo: 1) Renato non è più abituato a interviste “non pilotate”; 2) oggi non c’è più tanta voglia di scherzare, sarà  brutto lo so, ma lui deve tenerne conto; 3) e pertanto i giochetti che un tempo gli riuscivano, ora, davanti a un pubblico ben più smaliziato, non funzionano; 4) ho l’impressione sia terrorizzato da chiunque gli sembri (a volte, vedi il caso di Arcigay, a ragione, ma talora a torto) violare la sua intimità . Invece il discorso è un altro.

    Renato è un grande artista e ha notevoli doti umane; ma ogni tanto cerca di fare il furbo, e in quel caso ho l’impressione che sia “troppo” furbo.

  11. Ah, scusami, mi era sfuggito il link…sai, non sempre riesco a leggere tutto…mi perdoni? :s Vado adesso a leggere l’intervista…
    Tutti questi retroscena sinceramente mi erano sconosciuti…e mi dispiace leggere che le cose stanno così…non me l’aspettavo che fosse diventato così “prezioso” …effettivamente mi riferivo proprio a “Striscia”, era la prima volta che lo vedevo completamente disarmato, senza parole…mi è sembrato un comportamento strano…bastava così poco a spiegare qual’era il suo punto di vista…

  12. Bastava così poco… se effettivamente il suo punto di vista era quello. 😕 Se Renato fosse stato tranquillo. Ma da un po’ di tempo, quando parla (o lo fanno parlare) di certi argomenti, non è affatto tranquillo, a meno che l’iniziativa non la prenda lui. Poi vabbè, lì a “Striscia” non era mica una cosa preparata. L’hanno sorpreso. Volevano estorcergli una confessione (e questo non va bene, anzi, va malissimo, benché poi non abbiano infierito…). Sai cosa mi ha scritto, fra l’altro, il direttore di “Pride”? “Se non vuole parlarne, che almeno stia zitto… ma se ne esce con queste battute… ed è chiaro che la gente reagisce”. E non ha torto. Il mondo non è fatto solo dei suoi sorcini o dei pennivendoli per parrucchiere tipo “Chi”, cui si può rifilare senza contraddittorio qualunque panzana. E Renato, agli inizi, non era certo così… pudico.

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